• 4 mesi fa
Si è concluso il lungo periodo in cui la moda ha parlato per mostrarsi per quella che è. E a chi ha osservato, questi due mesi sono sembrati una successione di elaborazioni creative destinate a incrementare il consumo nel mercato globale.

Prima le Cruise Collection, che ormai tradizionalmente si svolgono nelle città in cui il marchio deve incrementare la presenza e comunicazione, o nelle città in cui si decide di lavorare con gli artigiani e i locali. Poi le collezioni per l'uomo a Milano e a Parigi. E infine con la Haute Couture a Parigi, con il finale dell'Alta Moda e dell'Alta Sartoria di Dolce&Gabbana in Sardegna.

Maggio e giugno quindi sono stati due mesi molto intensi. Che sono serviti per mettere a punto soprattutto strategie commerciali, visto che la creatività è un argomento necessario di default. Nel mezzo, però, c'è stato un inizio del riassetto del sistema che in realtà non si sa ancora quali risultati porterà. Ad esempio la nomina di nuovi CEO in marchi molto esposti porterà veramente al riassetto anche delle direzioni creative o è l'ennesimo tentativo di cambiare tutto perchè nulla cambi?

In realtà quello che emerge dalla continua sovraesposizione della moda è un fenomeno più simile a quello del "re nudo", la stessa che, non diversamente da quello che accade alle istituzioni politiche e statali, sfocia in una perdita di valore e in una sorta di banalizzazione dei contenuti. Ci penso quando, sempre più spesso, leggo su Instagram gli annunci di date ed eventi senza alcun valore aggiunto, senz'altro contenuto se non la grafica in cui è inquadrato in blu il testo.

E mi chiedo: e quindi? Qual è il contenuto di questa comunicazione per la quale oltretutto è stato allocato e speso un budget? La risposta che mi do è che la sovraesposizione non arriva tanto dall'abbondanza dei contenuti, ma da una sorta di frenesia della presenza. E questa sì che viene ritenuta stucchevole dal pubblico di riferimento.

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