Cos'abbiamo imparato dalle ultime sfilate? Difficile tracciare un bilancio creativo, molto più agile quello sul sistema. Quello che è emerso da quattro settimane di fashion week è che nell'attesa di chissà quale cambiamento, la moda si presenta riconoscibile e fedele alla maniera di chi la fa, con il sorprendente effetto di capsule in collaborazione con gli archivi.
Ma ora che tutto è finito, quale bilancio possiamo tirare? Diciamo subito che restano delusi tutti quelli che si aspettavano le novità, mentre restano rassicurati tutti quelli che spingono per mantenere lo status quo e hanno fatto in modo che si celebrasse non una sessione di sfilate, ma una cerimonia del rito dell'attesa di non si sa che cosa. In tutto questo i designer, quelli indipendenti e quelli inseriti nei grandi gruppi del lusso, hanno scelto di disegnare e allestire le collezioni alla maniera di se stessi, per cui ne sono derivati abiti riconoscibili fin nel minimo dettaglio.
A Milano e soprattutto a Parigi, il prevedibile ha preso il posto dell'inaspettato, per cui è andato in scena una specie di manierismo. Ed è un manierismo che rischia di contraddire quell'aspetto della moda che è il cambiamento. Tranne poche eccezioni, non ci sono stati stilisti usciti fuori dalla loro comfort zone sicura e sperimentata. È il frutto del momento di empasse che stiamo vivendo, nella moda come nella società, dove sembra che cambino i fattori e il risultato sembra sempre lo stesso.
E non è un bel risultato, perché tutto si blocca nell'attesa di qualcosa che verrà. Quando? Non si sa. Quello che invece stupisce molto è la mancanza di fiducia nella creatività, che pure è stata il fiore all'occhiello perfino dell'industria del settore. Intanto è in corso il balletto dei direttori creativi, quindi non ci resta che rimanere in attesa degli sviluppi, perché i ricambi annunciati, supposti e verificati alle direzioni artistiche non sono certo le soluzioni sufficienti per provocare un cambio di passo. A meno che qualcuno creda che per ridisegnare il sistema siano sufficienti le urla delle fans all'arrivo dei divi coreani alle sfilate.
Ma ora che tutto è finito, quale bilancio possiamo tirare? Diciamo subito che restano delusi tutti quelli che si aspettavano le novità, mentre restano rassicurati tutti quelli che spingono per mantenere lo status quo e hanno fatto in modo che si celebrasse non una sessione di sfilate, ma una cerimonia del rito dell'attesa di non si sa che cosa. In tutto questo i designer, quelli indipendenti e quelli inseriti nei grandi gruppi del lusso, hanno scelto di disegnare e allestire le collezioni alla maniera di se stessi, per cui ne sono derivati abiti riconoscibili fin nel minimo dettaglio.
A Milano e soprattutto a Parigi, il prevedibile ha preso il posto dell'inaspettato, per cui è andato in scena una specie di manierismo. Ed è un manierismo che rischia di contraddire quell'aspetto della moda che è il cambiamento. Tranne poche eccezioni, non ci sono stati stilisti usciti fuori dalla loro comfort zone sicura e sperimentata. È il frutto del momento di empasse che stiamo vivendo, nella moda come nella società, dove sembra che cambino i fattori e il risultato sembra sempre lo stesso.
E non è un bel risultato, perché tutto si blocca nell'attesa di qualcosa che verrà. Quando? Non si sa. Quello che invece stupisce molto è la mancanza di fiducia nella creatività, che pure è stata il fiore all'occhiello perfino dell'industria del settore. Intanto è in corso il balletto dei direttori creativi, quindi non ci resta che rimanere in attesa degli sviluppi, perché i ricambi annunciati, supposti e verificati alle direzioni artistiche non sono certo le soluzioni sufficienti per provocare un cambio di passo. A meno che qualcuno creda che per ridisegnare il sistema siano sufficienti le urla delle fans all'arrivo dei divi coreani alle sfilate.
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00:01Cosa abbiamo imparato dalle ultime sfilate?
00:03Difficile tracciare un bilancio creativo, molto più agile è quello sul sistema.
00:07Quello che è emerso da quattro settimane di Fashion Week è che,
00:10nell'attesa di chissà quale cambiamento,
00:12la moda si presenta riconoscibile e fedele alla maniera di chi la fa,
00:16con un sorprendente effetto di capsule in collaborazione con gli archivi.
00:20Ma ora che tutto è finito, quale bilancio possiamo tirare?
00:23Diciamo subito che resano delusi tutti quelli che si aspettavano le novità,
00:27mentre restano rassicurati tutti quelli che spingono per mantenere lo status quo
00:32e hanno fatto in modo che si celebrasse non una sessione di sfilate,
00:36ma una cerimonia del rito dell'attesa di non ti sa che cosa.
00:40In tutto questo, i designer, quelli indipendenti e quelli inseriti nelle grandi gruppi del lusso,
00:45hanno scelto di disegnare e allestire le collezioni alla maniera di sé stessi,
00:49per cui ne sono derivati abiti riconoscibili fin nel minimo dettaglio.
00:54A Milano e soprattutto a Parigi, il prevedibile ha preso il posto dell'inaspettato,
00:58per cui è andata in scena una sorta di manierismo.
01:01Ed è un manierismo che rischia di contraddire quell'aspetto della moda che è il cambiamento.
01:06Tranne poche eccezioni, non ci sono stati stilisti usciti fuori dalla loro comfort zone, sicura e sperimentata.
01:12È il frutto del momento di impasse che stiamo vivendo, nella moda come nella società,
01:16dove sembra che cambiano i fattori e il risultato resta sempre lo stesso.
01:20E non è un bel risultato, perché tutto si blocca nell'attesa di qualcosa che verrà, quando non si sa.
01:26Quello che invece stupisce molto è la mancanza di fiducia nella creatività,
01:30che pure è stata il fiore all'occhiello perfino dell'industria del settore.
01:34Intanto è in corso il balletto dei direttori creativi,
01:37quindi non ci resta che rimanere in attesa degli sviluppi,
01:40perché i ricambi annunciati, supposti e verificati alle direzioni artistiche
01:46non sono certe le soluzioni sufficienti per provocare un cambio di passo.
01:50A meno che qualcuno creda che per ridisegnare il sistema
01:53siano sufficienti le urla delle fans all'arrivo dei rivi coreani alle sfilate.