La moda è fatta dai CEO? Premetto che sto lanciando una provocazione: perchè non sistituiamo i nomi degli stilisti con quelli degli amministratori delegati? Mi spiego, in questa situazione in cui nella moda la creatività sembra diventata un optional, perchè quello che conta sono i risultati dei fatturati che, nonostante quello che succede nel mondo, devono per forza crescere a due cifre, dire che un marchio è "by" uno stilista, appare ormai del tutto improprio.
Forse è arrivato il tempo di buttare giù la maschera e iniziare a dire ad esempio: Chanel by Bruno Pavlovsky, Louis Vuitton by Pietro Beccari, o Ferragamo by Marco Gobetti e Saint Laurent by Francesca Bellettini. Tanto nei negozi arrivano le scelte del marketing e non quelle della sfilata. Siamo sinceri, anche i cambi alle direzioni creative ormai non spostano più il potere, perchè nelle aziende rimane ben radicato quello del CEO, che al momento opportuno molla i fili del creativo, lasciandolo cadere da solo e non certo condividendone la responsabilità.
Un'avvisaglia l'abbiamo vista già da Gucci all'epoca in cui Marco Bizzarri nominò alla direzione creativa Alessandro Michele. Indubbiamente, l'intuizione di assumere un direttore creativo che all'epoca non era ancora una star, ha fatto dire a tutti che Gucci sarebbe rinata per il progetto dell'amministratore delegato. Poi è vero, e per fortuna, ci fu la sorpresa che il marchio assunse l'immagine del direttore creativo e gli assomigliò sempre di più.
Ma anche le recenti nomine nella creatività ci fanno capire che tutto avviene affinchè il controllo resti nelle mani degli executive dei conti. Non è un male in sé, perchè le proprietà agli amministratori chiedono i profitti. Ma vista la piega che la finanza ha fatto prendere al settore, la situazione sarebbe anche molto più chiara per i consumatori, che sanno di andare a comprare un bene di consumo e non un prodotto della creatività. Del resto, nessuno conosce il nome di quelli che creano i profumi, come nessuno conosce il nome del CEO dell'azienda dello shampoo preferito, come altrettanto del resto nessuno conosce il nome del CEO di Zara.
Quindi, a questo punto, non sarebbe meglio chiamare i marchi con il loro nome e basta? Siamo sicuri che, al di là dei pochi ossessionati che si protagonizzano su Instagram, tutti sanno il nome del direttore creativo dell'abito che indossano?
Forse è arrivato il tempo di buttare giù la maschera e iniziare a dire ad esempio: Chanel by Bruno Pavlovsky, Louis Vuitton by Pietro Beccari, o Ferragamo by Marco Gobetti e Saint Laurent by Francesca Bellettini. Tanto nei negozi arrivano le scelte del marketing e non quelle della sfilata. Siamo sinceri, anche i cambi alle direzioni creative ormai non spostano più il potere, perchè nelle aziende rimane ben radicato quello del CEO, che al momento opportuno molla i fili del creativo, lasciandolo cadere da solo e non certo condividendone la responsabilità.
Un'avvisaglia l'abbiamo vista già da Gucci all'epoca in cui Marco Bizzarri nominò alla direzione creativa Alessandro Michele. Indubbiamente, l'intuizione di assumere un direttore creativo che all'epoca non era ancora una star, ha fatto dire a tutti che Gucci sarebbe rinata per il progetto dell'amministratore delegato. Poi è vero, e per fortuna, ci fu la sorpresa che il marchio assunse l'immagine del direttore creativo e gli assomigliò sempre di più.
Ma anche le recenti nomine nella creatività ci fanno capire che tutto avviene affinchè il controllo resti nelle mani degli executive dei conti. Non è un male in sé, perchè le proprietà agli amministratori chiedono i profitti. Ma vista la piega che la finanza ha fatto prendere al settore, la situazione sarebbe anche molto più chiara per i consumatori, che sanno di andare a comprare un bene di consumo e non un prodotto della creatività. Del resto, nessuno conosce il nome di quelli che creano i profumi, come nessuno conosce il nome del CEO dell'azienda dello shampoo preferito, come altrettanto del resto nessuno conosce il nome del CEO di Zara.
Quindi, a questo punto, non sarebbe meglio chiamare i marchi con il loro nome e basta? Siamo sicuri che, al di là dei pochi ossessionati che si protagonizzano su Instagram, tutti sanno il nome del direttore creativo dell'abito che indossano?
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00:11in cui nella moda la creatività sembra diventata un optional, perché quello che conta sono
00:16i risultati dei fatturati che, nonostante quello che è successo nel mondo, devono
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00:41del marketing e non quelle della sfilata. Siamo sinceri, anche i cambi alle direzioni
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00:50quello del CEO che al momento opportuno molle i fili del creativo, lasciandolo cadere da
00:55sole e non certo condividendone la responsabilità. Una visaglia l'abbiamo vista già da Gucci all'epoca
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01:11dire a tutti che Gucci sarebbe rinata per il progetto dell'amministratore delegato. Poi,
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01:21e li assomigliò sempre di più. Ma anche le recenti nomine alla creatività ci fanno capire
01:26che tutto avviene affinché il controllo resti nelle mani degli executive dei conti. Non è un mare
01:32in sé, perché le proprietà, gli amministratori chiedono i profitti, ma visto la piega che la
01:37finanza ha impresso al settore, la situazione sarebbe anche molto più chiara per i consumatori
01:42che sanno di andare a comprare un bene di consumo e non un prodotto della creatività. Del resto,
01:48nessuno conosce il nome di quelli che creano i profumi, come nessuno conosce il nome del CEO
01:53dell'azienda dello shampoo preferito, come, altrettanto del resto, nessuno conosce il nome
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02:09Instagram, tutti sanno il nome del direttore creativo e dell'abito che indossano?