Il personaggio di Don Carlo è un antieroe, un uomo mentalmente e psicologicamente danneggiato; sua madre è morta dandolo alla luce e ha conosciuto suo padre solo dopo cinque anni. Nel primo atto l’opera, nella versione scelta in 5 atti in italiano, ce lo mostra felice a Fontainebleau quando si innamora di Elisabetta, ma ragioni della politica lo immettono in un percorso di menzogne e di intrighi. Tutti i personaggi sono imprigionati come in una ragnatela, intrappolati e infelici».
Così il regista Claus Guth spiega la sua lettura di «Don Carlo» di Verdi, in scena al Teatro di San Carlo con la conduzione di Henrik Nánási, nella versione di Modena in 5 atti in italiano, ma senza danze. Si tratta della riproposizione dell’allestimento che ha inaugurato la stagione 2022-23, oggi con un cast quasi totalmente rinnovato e privo delle star già affermate.
Premesso che non è né elegante né in definitiva significativo redigere recensioni comparative, l’edizione del 2025 ha riservato non poche sorprese positive e il merito va in massima parte ascritto alla capacità di casting rivelata dal San Carlo.
Nel ruolo del titolo ha ben figurato il tenore Piero Pretti, intelligente nel dare il meglio della sua vocalità lirico-leggera, sfuggendo a tentazioni eroiche.
Il basso John Relyea, già noto al pubblico napoletano ha dato voce a Filippo II con bel colore profondo e considerevole presenza scenica.
Rachel Willis-Sørensen ha rappresentato una gradevolissima sorpresa dando voce e statuaria presenza a Elisabetta di Valois; volume pieno ed emissione estesa e omogenea con poco vibrato, a tutto vantaggio dell’intonazione e nella resa nei concertati.
La Scuola di canto italiana ha svuto anche nel baritono Gabriele Viviani nel ruolo di Rodrigo, un significativo alfiere. Quello della Principessa Eboli è un ruolo rischioso per ogni mezzosoprano e Varduhi Abrahamyan lo ha reso con sufficienza, pur se con la preoccupazione di “fare colore” che ha pregiudicato la proiezione del registro acuto.
Il grande inquisitore, che la regia vuole mostrarci anche come psicanalista di un adultero Filippo II, è stato reso con consumata sapienza da Alexander Tsymbalyuk.
Applaudita Maria Knihnytska nel ruolo di Tebaldo: efficaci Giorgi Manoshvili, Vasco Maria Vagnoli , Ivan Lualdi , Désirée Giove (Una voce dal Cielo pregevole), Sebastià Serra, Yunho Kim, Maurizio Bove, Ignas Melnikas, Giovanni Impagliazzo e Antimo Dell’Omo.
La produzione è del Teatro di San Carlo in coproduzione con l’Opera e Balletto Nazionale di Lettonia, l’impianto scenico è di Etienne Pluss, la drammaturgia di Yvonne Gebauer, sotto le luci di Olaf Freese riprese da Virginio Levrio e con i costumi di Petra Reinhardt. Il Coro ben preparato da Fabrizio Cassi è stato capace di raffinatezze dinamiche. Nánási è un direttore colto, analitico, ma non sempre il gesto ha trasferito il pensiero musicale a una orchestra per altro in ottima forma, coro e solisti, con il risultato di una interpretazione nitida, ma non empatica e il pubblico non ha pienamente gradito.
Fin dalla prima scena si aggira sul palco un personaggio “difforme”, un giullare, Fabian Augusto Gómez, ora inquietante e diabolico, ora come un napoletano “munaciello” ora Cupido, ora come boia: rappresentazione di un immaginario sofferente del personaggio di Don Carlo.
Applausi per tutti e su tutti a Rachel Willis-Sørensen e a Piero Pretti, sporadici dissensi a conduzione e regia. (Dario Ascoli)
Così il regista Claus Guth spiega la sua lettura di «Don Carlo» di Verdi, in scena al Teatro di San Carlo con la conduzione di Henrik Nánási, nella versione di Modena in 5 atti in italiano, ma senza danze. Si tratta della riproposizione dell’allestimento che ha inaugurato la stagione 2022-23, oggi con un cast quasi totalmente rinnovato e privo delle star già affermate.
Premesso che non è né elegante né in definitiva significativo redigere recensioni comparative, l’edizione del 2025 ha riservato non poche sorprese positive e il merito va in massima parte ascritto alla capacità di casting rivelata dal San Carlo.
Nel ruolo del titolo ha ben figurato il tenore Piero Pretti, intelligente nel dare il meglio della sua vocalità lirico-leggera, sfuggendo a tentazioni eroiche.
Il basso John Relyea, già noto al pubblico napoletano ha dato voce a Filippo II con bel colore profondo e considerevole presenza scenica.
Rachel Willis-Sørensen ha rappresentato una gradevolissima sorpresa dando voce e statuaria presenza a Elisabetta di Valois; volume pieno ed emissione estesa e omogenea con poco vibrato, a tutto vantaggio dell’intonazione e nella resa nei concertati.
La Scuola di canto italiana ha svuto anche nel baritono Gabriele Viviani nel ruolo di Rodrigo, un significativo alfiere. Quello della Principessa Eboli è un ruolo rischioso per ogni mezzosoprano e Varduhi Abrahamyan lo ha reso con sufficienza, pur se con la preoccupazione di “fare colore” che ha pregiudicato la proiezione del registro acuto.
Il grande inquisitore, che la regia vuole mostrarci anche come psicanalista di un adultero Filippo II, è stato reso con consumata sapienza da Alexander Tsymbalyuk.
Applaudita Maria Knihnytska nel ruolo di Tebaldo: efficaci Giorgi Manoshvili, Vasco Maria Vagnoli , Ivan Lualdi , Désirée Giove (Una voce dal Cielo pregevole), Sebastià Serra, Yunho Kim, Maurizio Bove, Ignas Melnikas, Giovanni Impagliazzo e Antimo Dell’Omo.
La produzione è del Teatro di San Carlo in coproduzione con l’Opera e Balletto Nazionale di Lettonia, l’impianto scenico è di Etienne Pluss, la drammaturgia di Yvonne Gebauer, sotto le luci di Olaf Freese riprese da Virginio Levrio e con i costumi di Petra Reinhardt. Il Coro ben preparato da Fabrizio Cassi è stato capace di raffinatezze dinamiche. Nánási è un direttore colto, analitico, ma non sempre il gesto ha trasferito il pensiero musicale a una orchestra per altro in ottima forma, coro e solisti, con il risultato di una interpretazione nitida, ma non empatica e il pubblico non ha pienamente gradito.
Fin dalla prima scena si aggira sul palco un personaggio “difforme”, un giullare, Fabian Augusto Gómez, ora inquietante e diabolico, ora come un napoletano “munaciello” ora Cupido, ora come boia: rappresentazione di un immaginario sofferente del personaggio di Don Carlo.
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