Pare che ultimamente la moda abbia commesso un reato di lesa cultura. Gravissimo. Chissà come mai nessun politico sia intervenuto per chiederne l'iscrizione tra i reati universali, eppure va tanto di moda. È successo che i finalisti del Premio Strega abbiano annunciato che avrebbero indossato dei vestiti di vari marchi durante la serata finale della premiazione, per suscitare il solito ritornello moralistico sulla cultura che non si svende alla moda e sulla moda che sale sul carro della cultura in cerca di legittimità.
Non c'è pace. Ogni volta che la moda tocca la cultura accademica, vengono giù caterve di polemiche moralisteggianti: scrittrici e scrittori griffati, che vergogna! E chissà poi perchè. Come se, ad esempio, attrici e attori non fossero lavoratori culturali. Ma il red carpet, si sa, è cosa da frou-frou, mentre vuoi mettere un palco pieno di libri? Chissà perchè non è mai stata fatta una polemica su certe sciatterie che, pur essendo legittime, avrebbero comunque dovuto spingere i moralisti a reclamare il decoro dell'occasione.
E poi, chissà mai che vestiti indossano i grandi lettori di libri. Tutti in gramaglia o in work jacket tagliata come quella di Mao Zedong o in severi completi grigio Tasmania con camicia e cravatta, oppure, per le donne, tailleur da istitutrici bigotte? Siamo alle solite, appena la moda si lega a una creatività accademica, il sentimento conservatore sprigiona l'attacco della morale: "No, sui libri non si può attaccare un'etichetta. Chi scrive non può farsi distrarre da un logo".
Ma attenzione: il sentimento che si cela dietro questa polemica e dietro le altre che le somigliano si chiama ipocrisia. È in quella simulazione della virtù e dei buoni sentimenti che i moralisti reclamano il divieto per gli scrittori a vestirsi come gli pare. Eppure non è l'etichetta di un vestito che decide l'idea, ma è la libertà di esibirla che trasforma chi scrive in un autore. Anche se poi alla fine un vestito la letteratura ce l'ha, e si chiama libro.
Non c'è pace. Ogni volta che la moda tocca la cultura accademica, vengono giù caterve di polemiche moralisteggianti: scrittrici e scrittori griffati, che vergogna! E chissà poi perchè. Come se, ad esempio, attrici e attori non fossero lavoratori culturali. Ma il red carpet, si sa, è cosa da frou-frou, mentre vuoi mettere un palco pieno di libri? Chissà perchè non è mai stata fatta una polemica su certe sciatterie che, pur essendo legittime, avrebbero comunque dovuto spingere i moralisti a reclamare il decoro dell'occasione.
E poi, chissà mai che vestiti indossano i grandi lettori di libri. Tutti in gramaglia o in work jacket tagliata come quella di Mao Zedong o in severi completi grigio Tasmania con camicia e cravatta, oppure, per le donne, tailleur da istitutrici bigotte? Siamo alle solite, appena la moda si lega a una creatività accademica, il sentimento conservatore sprigiona l'attacco della morale: "No, sui libri non si può attaccare un'etichetta. Chi scrive non può farsi distrarre da un logo".
Ma attenzione: il sentimento che si cela dietro questa polemica e dietro le altre che le somigliano si chiama ipocrisia. È in quella simulazione della virtù e dei buoni sentimenti che i moralisti reclamano il divieto per gli scrittori a vestirsi come gli pare. Eppure non è l'etichetta di un vestito che decide l'idea, ma è la libertà di esibirla che trasforma chi scrive in un autore. Anche se poi alla fine un vestito la letteratura ce l'ha, e si chiama libro.
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00:00Esiste l'abito della letteratura? Pare che ultimamente la moda abbia commesso un reato
00:05dell'esacoltura. Gravissimo. Chissà come mai nessun politico sia intervenuto per chiederne
00:11l'iscrizione tra i reati universali. Eppure va tanto di moda. E' successo che finalisti
00:16del Premio Strega abbiano annunciato che avrebbero indossato dei vestiti di vari
00:20marchi durante la serata finale della premiazione per suscitare il storico ritornello moralistico
00:26sulla cultura che non si svende alla moda e sulla moda che sale sul carro della cultura
00:31in cerca di legittimità. Non c'è pace. Ogni volta che la moda tocca la cultura accademica
00:35vengono giù caterve di polemiche moralisteggianti, scrittrici e scrittori griffati. Che vergogna.
00:41E chissà poi perché. Come se, ad esempio, attrici e attori non fossero lavoratori culturali.
00:48Ma il red carpet, si sa, è cosa da frufru. Mentre vuoi mettere un palco pieno di libri?
00:54Chissà perché non è mai stata fatta una polemica su certe sciatterie che,
00:58pur essendo legittime, avrebbero comunque dovuto spingere i moralisti a reclamare il
01:03decoro dell'occasione. E poi, chissà mai che vestiti indossano i grandi lettori di libri.
01:08Tutti in gramaglia o in work jacket tagliata come quella di Mao Zedong. O in severi completi
01:14grigio Tasmania con camice e cravatta. Oppure, per le donne, taillère da istitutrice bigotte.
01:20Siamo alle solite. Appena la moda si lega a una creatività accademica,
01:24il sentimento conservatore sprigiorna l'attacco della morale. No, sul libro non si può attaccare
01:30un'etichetta. Chi scrive non può farsi distrarre da un logo. Ma attenzione. Il sentimento che si
01:36cela dietro questa polemica, e dietro le altre che le somigliano, si chiama ipocrisia. E' in
01:41quella simulazione della virtù e di buoni sentimenti che i moralisti reclamano il divieto
01:46per gli scrittori a vestirsi come gli pare. Eppure non è l'etichetta di un vestito che
01:51decide l'idea, ma è la libertà di esibirla che trasforma chi scrive in un autore. Anche
01:56se poi alla fine un vestito la letteratura ce l'ha e si chiama libro.