Giovanni Minoli ha appena spedito una pec alla Commissione parlamentare di vigilanza con il suo non breve curriculum. Si candida così al prossimo cda della Rai e per la carica di presidente. La sua, per ora, è una provocazione nella speranza che prima o poi Giorgia Meloni, in questo come in altri campi, si decida a cambiar passo e a premiare la competenza. Ma nella storia della Rai della Seconda Repubblica, i potenti e talvolta anche i prepotenti hanno sempre battuto i competenti. E non sembra destinata a cambiare neanche stavolta. Il prossimo cda della Rai, praticamente, è stato già diviso tra i partiti della maggioranza. Resta solo da vedere, per la carica di presidente, se alle prossime europee Forza Italia cavalcherà la Lega e se i cinque Stelle decideranno di aggiungere i loro voti, magari in cambio della direzione del Tg3. Però stavolta il vecchio gioco sa più di vecchio. E la ragione è il trauma Amadeus. Non è solo il fatto di aver perso l'uomo d'oro di Sanremo. La sua uscita annuncia una nuova era nel mercato della tv generalista. C'è in campo un nuovo player, Warner Bros, con molti soldi e l'unica missione di farne tanti altri, dunque senza nessun obbligo di reverenza nei confronti dei politici italiani. Un concorrente, dunque, che può fare i prezzi e imporre la sua legge. Warner Bros - Discovery ha realizzato nel 2023 centotré milioni di dollari di profitti. La Rai ha 560 milioni di euro di debiti. La cosiddetta prima industria culturale del Paese deve dunque stare molto attenta. Industria non lo resterà a lungo se i suoi proprietari continueranno a trattarla come un sottoscala della politica.
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