Il caso delle uova al fipronil riporta in primo piano il problema della tracciabilità degli alimenti. Se il codice stampato informa il consumatore sulla provenienza delle uova, per quanto riguarda i derivati come biscotti o maionese l’etichetta non permette di risalire all’origine della materia prima utilizzata.
È proprio su questo punto che diverse associazioni, come Altroconsumo e Coldiretti, chiedono di fare di più. Perché in Italia si è fatto un passo avanti con la nuova legge che di recente ha reintrodotto l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento dei prodotti preimballati, ma questo non basta a garantire la qualità del prodotto.
L’obbligo era previsto già dall’ordinamento italiano, poi era stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea, infine reintrodotto. Una delle caratteristiche della legge, ci dice il Codacons, è il rafforzamento e la semplificazione del sistema sanzionatorio.
L’obbligo è una buona notizia, sottolinea Coldiretti che però chiede l’indicazione dell’origine delle materie prime perché altrimenti
sappiamo soltanto dove è trasformato e confezionato il prodotto.
Su questo punto ci sono già dei risultati: l’indicazione di origine esiste per la la carne, l’olio di oliva, le uova, mentre in Italia e Francia c‘è una sperimentazione su latte e latticini. E dal prossimo febbraio in Italia sulle etichette sarà riportata l’origine della pasta e del riso. Quest’estate fonti della Commissione Europea hanno detto all’agenzia Ansa che le norme di attuazione europee sull’etichettatura di origine sarebbero state adottate prima della fine del 2017.
Coldiretti sostiene che l’indicazione di origine subisca rallentamenti proprio in Commissione mentre il Parlamento europeo l’ha approvata varie volte. Anche i produttori tendono a contrastare questo tipo di misura, sostiene Altroconsumo, perché per loro diventa impegnativo indicare le materie prime in etichetta.
Infine un ostacolo al lavoro sulla tracciabilità degli alimenti potrebbe essere rappresentato dal CETA, l’accordo di libero scambio con il Canada. I sistemi produttivi sono diversi, in Canada ci sono un centinaio di sostanze, pesticidi che non vengono utilizzate in Europa – avverte Coldiretti – e la libera circolazione delle merci, principio cardine oltreoceano, rischia di danneggiare il lavoro sull’indicazione di origine.
È proprio su questo punto che diverse associazioni, come Altroconsumo e Coldiretti, chiedono di fare di più. Perché in Italia si è fatto un passo avanti con la nuova legge che di recente ha reintrodotto l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento dei prodotti preimballati, ma questo non basta a garantire la qualità del prodotto.
L’obbligo era previsto già dall’ordinamento italiano, poi era stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea, infine reintrodotto. Una delle caratteristiche della legge, ci dice il Codacons, è il rafforzamento e la semplificazione del sistema sanzionatorio.
L’obbligo è una buona notizia, sottolinea Coldiretti che però chiede l’indicazione dell’origine delle materie prime perché altrimenti
sappiamo soltanto dove è trasformato e confezionato il prodotto.
Su questo punto ci sono già dei risultati: l’indicazione di origine esiste per la la carne, l’olio di oliva, le uova, mentre in Italia e Francia c‘è una sperimentazione su latte e latticini. E dal prossimo febbraio in Italia sulle etichette sarà riportata l’origine della pasta e del riso. Quest’estate fonti della Commissione Europea hanno detto all’agenzia Ansa che le norme di attuazione europee sull’etichettatura di origine sarebbero state adottate prima della fine del 2017.
Coldiretti sostiene che l’indicazione di origine subisca rallentamenti proprio in Commissione mentre il Parlamento europeo l’ha approvata varie volte. Anche i produttori tendono a contrastare questo tipo di misura, sostiene Altroconsumo, perché per loro diventa impegnativo indicare le materie prime in etichetta.
Infine un ostacolo al lavoro sulla tracciabilità degli alimenti potrebbe essere rappresentato dal CETA, l’accordo di libero scambio con il Canada. I sistemi produttivi sono diversi, in Canada ci sono un centinaio di sostanze, pesticidi che non vengono utilizzate in Europa – avverte Coldiretti – e la libera circolazione delle merci, principio cardine oltreoceano, rischia di danneggiare il lavoro sull’indicazione di origine.
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