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Una delle categorie più fragili è quella dei malati oncologici. Purtroppo in molti sono costretti a spostarsi in regioni del nord perché il Lazio è tra le peggiori regioni italiane a livello di prevenzione oncologica, rete di cura e ricerca, si assesta al terz’ultimo posto. I dati del sito dell’Osservatorio nazionale screening (Ons), relativi all’anno scorso, la piazzano infatti agli ultimi posti per percentuale di partecipazione alle campagne da parte dei cittadini. Dopo i difficili anni della pandemia, spiegano da Foce (Federazione degli oncologi, cardiologi ed ematologi) si è assistito a un timido lieve miglioramento, ma è davvero poca cosa, rimangono ancora bassi i tassi d’adesione e soprattutto si registrano grandi differenze a livello regionale, rimangono forti le disuguaglianze tra il nord e il sud del Paese.

Per quanto riguarda gli screening del colon retto, li fa appena in 18 per cento della popolazione. Percentuale che sale al 27% per gli esami di prevenzione per il cancro della cervice uterina. Al 41 per cento è lo screening per il carcinoma mammario, ben lontano dall’obiettivo imposto dall’Unione europea del 90 per cento da raggiungere entro il prossimo anno. Un fenomeno che è dovuto a una sottovalutazione generale da parte della popolazione per la scarsa informazione. Per il Foce occorrerebbe sfruttare maggiormente le nuove tecnologie, offerte dal web e dalle telecomunicazioni. E poi implementare la ricerca negli Ircss: nel Lazio ce ne sono nove, di cui sei privati (tra i quali il Santa Lucia e Bambino Gesù) e tre pubblici (Spallanzani, San Gallicano e Regina Elena).

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