Il progetto Dilambda prese l'avvio nel 1926 quando Vincenzo Lancia, che di certo non era tipo da vivere sugli allori, decise di riproporre al pubblico una erede della Trikappa da equipaggiare sempre con un grosso motore ad 8 cilindri.
Inizialmente, il modello previsto (con denominazione d'officina 220), di chiara ispirazione Lambda, avrebbe dovuto contenere la cilindrata attorno ai 3 litri-3 litri e mezzo.
In quel periodo, destino volle che alla Lancia facesse visita un americano, tale Flocker, che non impiegò molto a convincere Vincenzo circa gli ampi orizzonti che si potevano aprire per la Casa torinese entrando nell'enorme mercato automobilistico statunitense.
Tra le molte particolarità della Dilambda vanno citate la applicazione di particolari cuscinetti (detti “silentbloc”) alle articolazioni, una particolare pompa di lubrificazione del motore, il termostato per la regolazione della temperatura dell'acqua di raffreddamento, la lubrificazione “centralizzata” del telaio. Di serie, la Dilambda viene prodotta in versione berlina e torpedo, ma è in un certo senso l'autotelaio a recitare la parte del leone: non si contano, infatti, le realizzazioni dei maggiori carrozzieri (italiani e stranieri) su base meccanica della Dilambda. Una interessante curiosità: è Pininfarina – che ancora non ha aperto la sua carrozzeria – a suggerire a Vincenzo Lancia l'adozione, in sintonia con lo stemma posto sul radiatore, dei singolari ed originali fari a forma di scudo.
Il modello iniziale - costruito con telaio da cm 347,5 – viene definito “tipo 227” e viene prodotto, in due serie, dal 1929 al 1931, in 986 pezzi (879 della prima serie e 107 della seconda serie) mentre del “tipo 229” a passo corto, che viene ad affiancarsi alla “227” nel '31, se ne costruiscono 418 (225 prima serie e 193 seconda serie). Poi, nel 1933 viene lanciata l'ultima Dilambda, definita come “tipo 232”, che torna al passo lungo e che viene prodotta sino al 1935 in 281 unità.
Inizialmente, il modello previsto (con denominazione d'officina 220), di chiara ispirazione Lambda, avrebbe dovuto contenere la cilindrata attorno ai 3 litri-3 litri e mezzo.
In quel periodo, destino volle che alla Lancia facesse visita un americano, tale Flocker, che non impiegò molto a convincere Vincenzo circa gli ampi orizzonti che si potevano aprire per la Casa torinese entrando nell'enorme mercato automobilistico statunitense.
Tra le molte particolarità della Dilambda vanno citate la applicazione di particolari cuscinetti (detti “silentbloc”) alle articolazioni, una particolare pompa di lubrificazione del motore, il termostato per la regolazione della temperatura dell'acqua di raffreddamento, la lubrificazione “centralizzata” del telaio. Di serie, la Dilambda viene prodotta in versione berlina e torpedo, ma è in un certo senso l'autotelaio a recitare la parte del leone: non si contano, infatti, le realizzazioni dei maggiori carrozzieri (italiani e stranieri) su base meccanica della Dilambda. Una interessante curiosità: è Pininfarina – che ancora non ha aperto la sua carrozzeria – a suggerire a Vincenzo Lancia l'adozione, in sintonia con lo stemma posto sul radiatore, dei singolari ed originali fari a forma di scudo.
Il modello iniziale - costruito con telaio da cm 347,5 – viene definito “tipo 227” e viene prodotto, in due serie, dal 1929 al 1931, in 986 pezzi (879 della prima serie e 107 della seconda serie) mentre del “tipo 229” a passo corto, che viene ad affiancarsi alla “227” nel '31, se ne costruiscono 418 (225 prima serie e 193 seconda serie). Poi, nel 1933 viene lanciata l'ultima Dilambda, definita come “tipo 232”, che torna al passo lungo e che viene prodotta sino al 1935 in 281 unità.
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