La sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, su richiesta della procura, ha emesso due decreti di sequestro per 43 milioni euro nei confronti di due imprenditori, il palermitano Salvatore Rubino, 62 anni e Christian Tortora di 47 anni di Battipaglia che, secondo le indagini dei finanzieri del nucleo di polizia economico e finanziaria di Palermo, sarebbero i referenti di un gruppo societario contiguo alle famiglie mafiose di Pagliarelli, Porta Nuova, Palermo Centro, Brancaccio e Noce.
I due imprenditori sono stati arrestati nell’operazione “All In” insieme al boss Francesco Paolo Maniscalco. L’indagine ha ricostruito la sistematica ricerca del potere economico da parte di “cosa nostra” che tenta di infiltrarsi nel lucroso settore della gestione dei giochi e delle scommesse sportive. Secondo quanto ricostruito dai finanzieri del Gico, le imprese che facevano riferimento al boss Francesco Paolo Maniscalco, grazie al rapporto con la mafia, avrebbero acquisito la disponibilità di numerose licenze e concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da società formalmente intestate a “prestanome”, che nel tempo erano giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
I due imprenditori sono stati arrestati nell’operazione “All In” insieme al boss Francesco Paolo Maniscalco. L’indagine ha ricostruito la sistematica ricerca del potere economico da parte di “cosa nostra” che tenta di infiltrarsi nel lucroso settore della gestione dei giochi e delle scommesse sportive. Secondo quanto ricostruito dai finanzieri del Gico, le imprese che facevano riferimento al boss Francesco Paolo Maniscalco, grazie al rapporto con la mafia, avrebbero acquisito la disponibilità di numerose licenze e concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da società formalmente intestate a “prestanome”, che nel tempo erano giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
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