http://www.pupia.tv - Torino - Sarebbe stato incastrato grazie a una lettera anonima Rocco Schirripa, l'uomo arrestato 32 anni dopo per l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia con l'accusa di essere uno degli esecutori materiali del delitto. L'uomo ha lasciato a bordo di un'auto della polizia gli uffici della questura di Torino, alle 13,20, diretto in carcere a Milano. Schirripa è stato incastrato grazie a una lettera anonima inviata dagli inquirenti milanesi a Domenico Belfiore, già condannato all'ergastolo per l'episodio. In seguito sono state intercettate le "reazioni" sul coinvolgimento di Schirripa.
La lettera conteneva la fotocopia di un articolo della stampa di 32 anni fa, con la notizia dell'arresto di Belfiore, e sul retro gli investigatori avevano scritto il nome 'Rocco Schirripa', per sondare la reazione su uno dei sospetti che, all'epoca, era un "soldato" della famiglia Belfiore.
"Sapevamo che Schirripa era uno degli uomini di Belfiore - hanno sottolineato Ilda Boccassini e il pm Marcello Tantangelo - dopo l'invio delle lettere anonime abbiamo captato, grazie a una tecnologia molto avanzata, delle intercettazioni fortemente indizianti a suo carico". Bruno Caccia fu ucciso la sera del 26 giugno 1983, 32 anni fa, con 14 colpi di pistola mentre portava a spasso il suo cane sotto casa, sulla precollina di Torino.
Per l'accaduto fu arrestato, nel 1993, il mandante del delitto, Domenico Belfiore, esponente di spicco della 'ndrangheta in Piemonte, poi condannato all'ergastolo e dallo scorso 15 giugno ai domiciliari per motivi di salute. Caccia stava indagando su numerosi fatti di 'ndrangheta tra cui alcuni sequestri di persona.
L'inchiesta è stata coordinata dalla procura di Milano. Cinque gradi di giudizio, conclusi con la condanna del boss Domenico Belfiore, ritenuto il mandante, non sono bastati a far piena luce sul delitto di un "nitido esempio di dedizione allo Stato, un uomo con la giustizia nel cuore", come i suoi colleghi, dal procuratore generale Marcello Maddalena al procuratore capo Giancarlo Caselli, lo hanno ricordato in questi anni.
"Ci sono ancora troppi buchi", diceva l'avvocato Fabio Repici, il legale della famiglia Caccia, che in occasione del trentennale della morte avevano chiesto di riaprire il caso. Erano gli 'anni di piombo' e per le strade del capoluogo piemontese scorreva il sangue del terrorismo e della criminalità organizzata. Ai principali quotidiani nazionali arrivano le prime rivendicazioni: da principio le Brigate Rosse, poi Prima Linea e il Nar. La matrice, però, si rivelò falsa e si fece strada l'ipotesi del crimine organizzato. (22.12.15)
La lettera conteneva la fotocopia di un articolo della stampa di 32 anni fa, con la notizia dell'arresto di Belfiore, e sul retro gli investigatori avevano scritto il nome 'Rocco Schirripa', per sondare la reazione su uno dei sospetti che, all'epoca, era un "soldato" della famiglia Belfiore.
"Sapevamo che Schirripa era uno degli uomini di Belfiore - hanno sottolineato Ilda Boccassini e il pm Marcello Tantangelo - dopo l'invio delle lettere anonime abbiamo captato, grazie a una tecnologia molto avanzata, delle intercettazioni fortemente indizianti a suo carico". Bruno Caccia fu ucciso la sera del 26 giugno 1983, 32 anni fa, con 14 colpi di pistola mentre portava a spasso il suo cane sotto casa, sulla precollina di Torino.
Per l'accaduto fu arrestato, nel 1993, il mandante del delitto, Domenico Belfiore, esponente di spicco della 'ndrangheta in Piemonte, poi condannato all'ergastolo e dallo scorso 15 giugno ai domiciliari per motivi di salute. Caccia stava indagando su numerosi fatti di 'ndrangheta tra cui alcuni sequestri di persona.
L'inchiesta è stata coordinata dalla procura di Milano. Cinque gradi di giudizio, conclusi con la condanna del boss Domenico Belfiore, ritenuto il mandante, non sono bastati a far piena luce sul delitto di un "nitido esempio di dedizione allo Stato, un uomo con la giustizia nel cuore", come i suoi colleghi, dal procuratore generale Marcello Maddalena al procuratore capo Giancarlo Caselli, lo hanno ricordato in questi anni.
"Ci sono ancora troppi buchi", diceva l'avvocato Fabio Repici, il legale della famiglia Caccia, che in occasione del trentennale della morte avevano chiesto di riaprire il caso. Erano gli 'anni di piombo' e per le strade del capoluogo piemontese scorreva il sangue del terrorismo e della criminalità organizzata. Ai principali quotidiani nazionali arrivano le prime rivendicazioni: da principio le Brigate Rosse, poi Prima Linea e il Nar. La matrice, però, si rivelò falsa e si fece strada l'ipotesi del crimine organizzato. (22.12.15)
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