In mare aperto per combattere il diabete

  • 10 anni fa
Un battello, il vento, un equipaggio diverso dagli altri. Questi giovani sono qui per imparare a navigare a vela ma anche per gestire meglio il loro diabete insieme a
Philippe Pirard, infermiere e skipper.

Timothée, diabetico:
“Quando si è diabetici bisogna verificare la glicemia cioè il calcolo del tasso di zucchero nel sangue. I medici ci dicono che bisogna farlo 4 volte al giorno, quindi ci si punge il dito cosi’. Si fa uscire una goccia di sangue la si mette sulla striscia del misuratore e in 5 secondi si ha il risultato”.

E’ il pancreas che controlla il tasso di zucchero nel sangue, cioè la glicemia. Un pancreas in buono stato regola la secrezione dell’ormone dell’insulina ma questo equilibrio puo’ essere compromesso se le cellule del pancreas dette beta funzionano male. Insorge quindi il diabete.

Myriam Cnop, esperta di diabete:
“Il diabete di tipo uno è una malattia autoimmunitaria in cui il sistema immunitario attacca le cellule beta. Queste cellule muoiono e il paziente finisce per non averne piu’ e non produrre piu’ insulina. Nel diabete di secondo tipo le cellule beta restano presenti nel pancreas ma non funzionano piu’ bene, non producono piu’ insulina a sufficienza”.

Da 30 anni ricercatori del mondo intero hanno tentato senza successo di riprodurre queste cellule in laboratorio per capire le loro disfunzioni. Solo adesso è cosa fatta grazie all’ostinazione e l’audacia del professor Scharfmann di Parigi.

Raphaël Scharfmann, biologo:
“Abbiamo creato, e lo si vede sullo schermo, cellule beta umane, sono cellule che contengono e che producono insulina indicata dal colore rosso”.

Ma come hanno fatto a ricreare queste cellule?

Raphaël Scharfmann, biologo:
“Si è dimostrato che a partire di un frammento di pancreas umano prenatale impiantato su topi si possono ottenere le cellule che ci interessano, le cellule beta anche se in quantità insufficiente. Abbiamo aggiunto alle cellule quello che si definisce un gene dell’immortalità che consente nel terreno biologico del topo di amplificarle per poi metterle in provette di coltura. Queste cellule saranno molto utili sia per capire come le cellule beta del pancreas vengono distrutte o siano malfunzionanti nei pazienti diabetici e forse un giorno serviranno a scoprire nuovi farmaci per le diverse tipologie di diabete”.

Oggi 85% circa dei diabetici soffrono prevalentemente del diabete di secondo tipo. Un diabete legato all’obesità e all’eccesso di peso. Un vero problema di salute pubblica che fa temere una epidemia negli anni a venire.

Tuttavia un batterio chiamato “Akkermansia muciniphila” potrebbe venire in aiuto ai diabetici di secondo tipo. E’ l’idea curiosa a cui ha pensato Patrice Cani, ricercatore presso l’Università Cattolica di Lovanio.

Patrice Cani, ricercatore:
“Questo batterio lo abbiamo scoperto del tutto casualmente. Bisogna sapere che viviamo con 100.000 miliardi di batteri nel nostro intestino e si sa da molto tempo che questi batteri ci aiutano per esempio a digerire gli alimenti. In questo caso si è potuto dimostrare che “Akkermansia” riusciva a dialogare con le cellule umane e a modificare in qualche modo la nostra utilizzazione dello zucchero e quindi a migliorare il diabete di secondo tipo”.

Patrice Cani, ricercatore:
“Così adesso stiamo studiando la possibilità di somministrare i batteri ai pazienti obesi con diabete di tipo 2 e ci auspichiamo di avere in pochi anni delle risposte, vale a dire: speriamo di essere in grado di dare questo batterio in aggiunta ad un trattamento di diabete tipo 2, oppure no”.

In attesa dei nuovi trattamenti per i diabetici questi giovani marinai hanno trovato in mare aperto il modo per gestire meglio il loro diabete.

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