La Germania al bivio dei rifugiati. Quando l'emergenza divide

  • 10 anni fa
E’ un giorno e una festa speciale alla scuola “Elbinsel” di Amburgo. Il Natale alle porte offre l’occasione per mescolare simboli e tradizioni e regalare così un primo benvenuto a tanti bambini, da poco arrivati in Germania con le loro famiglie, per fuggire da violenze e instabilità di paesi come Siria, Somalia, Eritrea.

Nessuno parla ancora il tedesco e per aprire un canale di comunicazione si è scelto allora un altro linguaggio: la musica.

A spiegarcelo è Sigrid Skwirblies, che appartiene al corpo docente. “La musica è un linguaggio universale – ci dice -. Qui nella nostra scuola è una materia su cui puntiamo molto, perché la musica avvicina le persone, le culture, le religioni. Tra qualche giorno inizieremo dei corsi preparatori per questi piccoli rifugiati. E allo stesso tempo li coinvolgeremo in un importante progetto musicale. Il principale messaggio che vogliamo loro inviare è: ‘Siete i benvenuti’”.

E’ in treno che proseguiamo il nostro viaggio. Fuori dal finestrino i paesaggi scorrono e con loro cambiano radicalmente anche atmosfere e accoglienza per i rifugiati.

Arriviamo a Dresda, dove i canti non sono di Natale, ma contro il “fanatismo religioso” e i crescenti arrivi di rifugiati. Nato a ottobre, il movimento si è dato il nome di “Pegida”, acronimo di “Patrioti Europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente”, e scende in piazza ormai ogni lunedì.

Heiko Abbe lavora per il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Di ritorno da una riunione ministeriale, non esita a bollare le manifestazioni di Dresda come “una vergogna”. Ad alimentarle è la paura, dice, ma per disinnescarla basta relativizzare.

“La Germania non rischia il collasso – dice ai nostri microfoni -. La situazione è anzi opposta: siamo una nazione economicamente solida e possiamo accogliere senza problema i rifugiati. Negli ultimi tre anni, i paesi limitrofi alla Siria ne hanno accolti tre milioni. Guardate invece alla Germania: quest’anno ne accogliamo appena 200.000 e cosa succede? La gente scende in piazza perché sostiene che siano troppi. E’ una vergogna”.

Heiko Abbe invita all’accoglienza. Una parola che le amministrazioni tedesche faticano però a declinare.Container, ruspe in azione per l’allestimento di nuovi spazi e tendopoli sono la risposta con cui Amburgo prova a tenere il passo con i nuovi arrivi: circa 1.000 rifugiati al mese, da questo autunno, che già fanno parlare di “emergenza rifugiati”.

Un’emergenza a cui Hermann Hardt prova a rispondere con una serie di iniziative. Con il gruppo di sostegno ai rifugiati per cui lavora ha organizzato per gennaio una manifestazione a cui affida un messaggio: Amburgo deve investire in nuovi alloggi. Ma nell’attesa, sono già tante le cose che si possono fare.

“Non si possono sistemare queste persone nei container, come se fossero merci – ci dice -. E non si possono neanche mettere nelle tende. Qui ad Amburgo disponiamo di 2.300 alloggi liberi e ci sono migliaia di metri quadrati di uffici inutilizzati, che potrebbero essere adibiti a spazi abitativi. E’ possibile trovare una sistemazione adeguata per i rifugiati. Non c‘è dubbio. Dal 2011, c‘è inoltre una legge locale che permette all’amministrazione di Amburgo di confiscare i locali sfitti per far fronte a situazioni d’emergenza”.

Nel quartiere popolare di Kirchdorf-Süd una prima risposta arriva dal basso. Lanciato dagli stessi residenti, un appello su Facebook a donazioni e volontari ha portato alla creazione di una rete di solidarietà, che offre una risposta ai bisogni più urgenti dei nuovi arrivati. La partecipazione è sorprendente, ma le risorse sono limitate.

Daniel Peter è tra i volontari che partecipano all’iniziativa, che si è data il nome di ‘Die Insel hilft’.
“Abbiamo anzitutto bisogno di vestiti e scarpe per l’inverno – dice -. Alcuni arrivano in sandali e con indosso ancora gli abiti con cui hanno viaggiato: pantaloni leggeri, niente guanti e cappelli…”.

Le donazioni degli abitanti del quartiere hanno trasformato i locali di una sauna abbandonata in magazzino di abiti usati. Tra coloro che da qui provano a ricominciare c‘è Amar: ad Aleppo lavorava in un negozio che vendeva televisioni, ma la guerra in Siria lo ha messo in fuga e costretto a lasciarsi alle spalle tutto.

“Lì ad Aleppo ci sono veri problemi – racconta -. Abbiamo deciso di fuggire dalla guerra. Conoscete bene anche qui qual è la situazione in Siria… Noi cerchiamo soltanto la pace e un posto sicuro dove stare”.

Se urgenza fa per lui rima con sopravvivenza, Amar guarda già avanti. E il futuro lo declina nel sogno di una vita normale.

“Mi piacerebbe molto poter ottenere un permesso di soggiorno – prosegue Aymar -. Averlo sarebbe per me sinonimo di rassicurazioni. Non solo mi permetterebbe di stabilirmi qui, ma mi schiuderebbe le porte per gli stessi diritti di cui gode ogni cittadino tedesco”.

Il cammino per ottenere permesso di soggiorno o diritto d’asilo varia in funzione dei paesi di provenienza. Da dovunque si arrivi,