Turchia al voto in piena emergenza profughi, Amnesty "Ue responsabile"

  • 10 anni fa
“Quando sono arrivato in Turchia c’erano circa 400.000 rifugiati siriani. All’inizio i siriani non mangiavano il pane turco. Il nostro pane veniva dalla Siria. Ecco perché ho ​​aperto questo panificio. La produzione è soddisfacente e i siriani sono più felici perché possono trovare, qui in Turchia, il loro pane”. Bassam Alhamdow era un ufficiale delle dogane in Siria. È stato rapito dai combattenti jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante mentre tentava di fuggire dalla guerra. La sua prigionia è durata 5 mesi, al termine dei quali è stato rilasciato e ha trovato rifugio nel campo profughi di Gaziantep. Ora è un panettiere e prepara il pane tradizionale siriano per migliaia di profughi.

“La mia condizione di vita in Siria era relativamente buona – ricorda Bassam – Migliore di quella di tanti siriani. Ero un ufficiale delle dogane. Ora, nei campi profughi, più di 100.000 siriani mangiano il pane della nostra azienda”.

A Gaziantep, nel sud della Turchia, a circa 100 chilomentri da Aleppo, Bassam è un privilegiato rispetto alle centinaia di migliaia di siriani che hanno passato il confine. Nelle vicinanze ci sono sei campi profughi.

Fatma Askys ha voluto spostarsi in città e, insieme al suo bambino, ha occupato un rudere: “Le nostre condizioni di vita sono pessime. In Siria si viveva meglio – spiega la giovane madre – Ma quando è scoppiata la guerra siamo stati costretti a scappare. Guardate in che condizioni viviamo qui”.

Stando ai dati ufficiali, la Turchia oggi accoglie poco più di un milione e trecentomila rifugiati siriani. Sono ospitati in 24 campi, situati per lo più nelle regioni al confine con la Siria. A Gaziantep si sfiora il mezzo milione di presenze.

Molti rifugiati, per guadagnare qualcosa, si trascinano per le strade della città con pesanti sacchi in cui raccolgono carta o bottiglie di plastica da riciclare. Tra loro vi sono anche moltissimi minori.

Le attività delle organizzazioni non governative possono semplicemente tamponare le necessità primarie della popolazione. Alcuni bambini, ad esempio, non entrano in un’aula scolastica da tre anni e l’Unione europea riesce a distribuire aiuti umanitari ad appena 250 rifugiati al giorno: “Distribuiamo beni di prima necessità come coperte, materassi e cuscini – spiega Rasha Saleh, responsabile dell’organizzazione di aiuto ai profughi sostenuta da Unione europea e Danimarca – Oggi stiamo fornendo stoviglie, coperte e materiale sanitario. Abbiamo anche le salviette per i bambini”.

In questo vasto panorama di disagio, esplode la lotta tra poveri: i turchi accusano i siriani di essere responsabili dell’aumento del prezzo degli affitti. Alcuni proprietari di casa hanno istallato dei container sui tetti delle loro abitazioni per fittarli ai rifugiati siriani. I prezzi sono schizzati in alto e intere famiglie vivono ammassate in appartamenti minuscoli per i quali si pagano affitti molto alti: “I prezzi degli immobili, sia in affitto che in vendita, sono aumentati in maniera esponenziale – spiega Izzet Altindogan, proprietario di un’agenzia immobiliare – Gli aumenti hanno raggiunto il 70%. I funzionari governativi e gli addetti della protezione civile non riescono a trovare appartamenti da affittare quando arrivano qui”.

Il governo locale si è trovato imprepartato di fronte all’invasione di chi fugge dalla guerra ed è incapace di provvedere all’assistenza dei migranti. Gli aiuti – scarsi – arrivano attraverso le organizzazioni internazionali.

La situazione dei bambini è particolarmente drammatica. Moltissimi avrebbero dovuto iniziare la scuola primaria, ma la maggior parte di loro non è in grado di scrivere in arabo e non parla una parola di turco. Poche famiglie hanno i soldi per iscrivere i figli in una delle due scuole private della città, dove possono imparare l’inglese.

In questo contesto, cresce il malcontento dei locali verso i profughi. Si moltiplicano gli episodi di discriminazione, che a volte sconfinano in veri e propri disordini e in rappresaglie di matrice razzista. Si organizzano ronde per assaltare i negozi con le insegne in arabo.

Accusati di furti e di alimentare il mercato del lavoro nero, i siriani in Turchia sono visti come una minaccia.

Secondo Amnesty International, la rabbia è figlia della politica – promossa anche dall’Europa – della creazione di “zone di contenimento” ai confini dell’Unione, finanziando paesi terzi per fermare i migranti.

“Entrano in casa nostra e non vanno via. A volte ci aggrediscono con coltelli e pistole – sostiene un residente di Gaziantep – Tanti abitanti del posto hanno subito violenza. Il tasso di criminalità, i furti e le molestie sessuali sono notevolmente aumentati. Prendono il nostro denaro e minacciano le nostre vite. Vediamo le nostre ragazze molestate per strada. Quanto durerà tutto questo?”

“Siamo molto dispiaciuti per questa tragedia in corso alle porte del nostro paese – dice un cittadino turco più sensibile al problema dei profughi – Non solo il governo, ma anche noi turchi

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